Se il danneggiato non collabora con la compagnia assicurativa la domanda giudiziale è improponibile

Oggi analizzeremo la recente sentenza n. 1829 del 25.01.2018, con cui la Corte di Cassazione, sezione III civile, ha affermato il seguente principio di diritto:

In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, a norma dell’art. 145 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 l’azione per il risarcimento non può essere proposta dal danneggiato che, in violazione dei principi di correttezza (art. 1175 cod. civ.) e buona fede (art. 1375 cod. civ.), con la propria condotta abbia impedito all’assicuratore di compiere le attività volte alla formulazione di una congrua offerta ai sensi dell’art. 148 del Codice delle assicurazioni private.”.

Il caso di specie riguardava una causa di risarcimento danni proposta da un ciclista che, dinanzi il Giudice di pace, conveniva in giudizio il conducente della vettura che aveva investito l’attore, la società proprietaria del veicolo e la compagnia assicurativa che copriva, per il rischio RCA, l’autovettura.

Ebbene, in primo grado, il Giudice di pace respingeva nel merito le pretese del ciclista/attore, il quale proponeva, quindi, appello dinanzi il Tribunale che, a sua volta, accogliendo le eccezioni reiterate dalla compagnia assicurativa in secondo grado, dichiarava l’improcedibilità della domanda risarcitoria ai sensi del combinato disposto degli articoli 145 e 148 del Codice delle assicurazioni private.

La vicenda, pertanto, approdava in Cassazione, ove la Suprema Corte rigettava, definitivamente, le istanze del ciclista e confermava la pronuncia di improponibilità della domanda avanzata da quest’ultimo.

In particolare, la Cassazione, alla luce del principio di diritto suesposto, riteneva corretto l’accertamento operato dal giudice di primo grado – con insindacabile giudizio in fatto – laddove appurava che l’attore “…violando i doveri di correttezza e buona fede (l’art. 1175 cod. civ. è espressamente richiamato nella sentenza impugnata), si è sottratto all’ispezione della bicicletta, attività utile alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e alla formulazione di una congrua offerta risarcitoria”.

Nelle motivazioni della sentenza in parola, la Suprema Corte sottolinea la circostanza per cui il giudice di merito accertava il rifiuto del danneggiato di mettere a disposizione della compagnia assicuratrice il mezzo coinvolto nel sinistro, rilevando che tale «circostanza ha impedito alla compagnia di operare le sue valutazioni, tanto più necessarie nel contesto di un sinistro senza testimoni diretti, cui quadro si è rivelato nel successivo giudizio quanto mai incerto, quantomeno nella sua effettiva dinamica».

Ed ancora, degna di nota appare la motivazione della Cassazione laddove chiarisce che l’art. 145 – «Proponibilità dell’azione di risarcimento» – del Codice delle Assicurazioni private ha un chiaro intento deflattivo, essendo evidente la finalità «di razionalizzazione del contenzioso giudiziario, notoriamente inflazionato, nella materia dei sinistri stradali, anche da liti bagatellari» (così Corte Cost., 3 maggio 2012, n. 111).

In definitiva, può dirsi che la pronuncia in esame rafforza il principio per cui, in materia di sinistri stradali, il danneggiato è tenuto a collaborare con l’assicuratore per consentirgli di effettuare l’accertamento e la valutazione del danno, attività finalizzate a una proposta conciliativa che sia concretamente riferibile agli elementi comunicati dal richiedente e potenzialmente idonea ad evitare il giudizio.