Divieto di frazionamento del credito: l’arresto delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 4090 del 16.02.2017, in risposta ai divergenti orientamenti presenti nel panorama giuridico, hanno chiarito come in caso di pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso tra le stesse parti, il creditore potrà proporre più processi separati.

In particolare la Suprema Corte ha rilevato come non sussiste, sul piano processuale, alcuna norma che obblighi il creditore per più crediti distinti ma relativi al medesimo rapporto, ad azionarli nello stesso procedimento giudiziario, pena l’improponibilità della domanda.

Diversamente, chiarisce la Corte di Cassazione, il creditore oltre a vedersi allungare i termini processuali di recupero, si vedrebbe costretto ad azionare un unico processo per tutte le posizioni creditizie, senza poter usufruire dell’autonoma disciplina prevista per i diversi crediti vantati, quali ad esempio azionare un procedimento monitorio per i crediti fondati su prova scritta.

Non solo! La presenza di una siffatta norma avrebbe ricadute per l’economia, in quanto ostacolerebbe gli scambi e gli investimenti.

Le Sezioni Unite hanno quindi affermato il seguente principio di diritto: “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo -sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale-, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.c.”.

Come si evince dal tenore letterale della sentenza, le Sezioni Unite hanno comunque inteso chiarire come le questioni relative a singoli crediti distinti riferibili al medesimo rapporto qualora risultino inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo o comunque fondate su identico fatto costitutivo di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili, potranno anch’esse ritenersi proponibili separatamente, ma solo se il creditore abbia un oggettivo interesse al frazionamento della tutela processuale.

Sul piano processuale, al creditore procedente deve essere consentito di provare ed argomentare ogni qual volta il convenuto evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza.

Ciò stante, ove il convenuto non abbia allegato o dedotto in proposito nulla, il giudice che rilevi d’ufficio la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al “frazionamento” e ne metta in dubbio l’esistenza, dovrà indicare la questione ex art. 183 c.p.c. e, se ritiene, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie ex art. 101 c.p.c.