Con la recente Ordinanza n. 8477/20 del 5 maggio u.s., la Suprema Corte torna a ribadire il corretto canone ermeneutico degli artt. 651 e 652 c.p.p. e dunque chiarisce ancora una volta (perfettamente in linea rispetto a precedenti pronunce di legittimità sul punto) in quali termini il giudicato penale abbia efficacia nel giudizio civile di danno.
Nei reati di danno, la sentenza del Giudice Penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla “declaratoria iuris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell’accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come “potenzialmente” dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati (così anche in Cass. 9 marzo 2018, n. 5660; 14 febbraio 2019, n. 4318).
Ed infatti, l’esistenza del pregiudizio nei cosiddetti reati di danno è implicita nell’accertamento del “fatto-reato”, ma solo con riferimento al “danno evento” non anche al “danno conseguenza”, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli, ex art. 1223 cod. civ., che resta dunque demandata al Giudice Civile.
(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 8477/20; depositata il 5 maggio).